Che cosa abbiamo nella testa? L’euristica e la razionalità – Marandola

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Il punto di vista di Matilde Marandola, Presidente Nazionale AIDP, su Che cosa abbiamo nella testa? Il cammino accidentato della ragione, il testo di Edoardo Boncinelli e Antonello Calvaruso.

In vista della presentazione del testo Che cosa Abbiamo nella testa?, L’euristica e la razionalità, abbiamo intervistato Matilde Marandola, Presidente Nazionale AIDP.

Matilde Marandola, apporterà il proprio contributo sull’euristica e la razionalità, a partire dalla propria esperienza nello sviluppo delle risorse umane.

Marandola - Che cosa abbiamo nella testa? tra l'euristica e la razionalità
Marandola – Che cosa abbiamo nella testa? tra l’euristica e la razionalità

L’intervista

Le quattro domande che abbiamo fatto a Matilde Marandola, Presidente Nazionale di AIDP.

1) In che modo la conoscenza delle recenti scoperte delle neuroscienze può favorire lo sviluppo della formazione e l’efficacia dei processi di apprendimento nei contesti organizzativi? 

«Le neuroscienze sono davvero un ambito straordinario e importante. Innanzitutto perché danno attenzione alle persone. Nel momento in cui ci poniamo il problema delle reazioni del nostro cervello rispetto a determinati stimoli ci interessiamo sempre anche delle persone.

Questo riguarda anche il grande filone dell’empatia, intesa come competenza trasversale e come stile di leadership, che si connota ancora di più come competenza strategica supportata proprio dalle neuroscienze.

Avere attenzione, fare sperimentazione rispetto a questo tema e studiare come il nostro cervello reagisce dinnanzi parole, espressioni del volto e stimoli di varia natura, è straordinariamente importante. Non solo, ma è anche la più grande dimostrazione di empatia e ascolto.

Anche nelle aziende e nelle organizzazioni di lavoro vogliamo sapere come reagisce il nostro cervello rispetto agli stimoli, che sono quotidiani. Oggi sappiamo che tutti gli studi sull’empatia e sull’ascolto hanno costrutti scientifici e quindi vanno alimentati e sperimentati sempre di più».

2) Come la conoscenza dei bias, che sono “pregiudizi astratti”, può aiutare a facilitare lo sviluppo delle soft skill, ossia delle competenze relazionali, in maniera tale da genere in clima organizzativo favorevole al benessere e alla creatività? 

«Ho un grande interesse per i bias e li uso in un doppio ambito:

Innanzitutto, come insegnante di Formazione e Soft Skills, in psicologia e scienze dell’educazione al Suor Orsola Benincasa. Ne parlo come elemento di pregiudizio e di velocità, di falsa ottimizzazione dei nostri processi mentali. Parliamo in aula di bias proprio per far comprendere agli studenti quelle che sono le competenze trasversali di ascolto, di comunicazione efficace, di empatia e di leadership.

Il secondo ambito in cui spesso utilizzo e approfondisco l’utilizzo dei bias è quello dello sviluppo delle competenze trasversali: come si fa ad essere dei leader efficaci, empatici e validi se non affrontiamo questi temi? La velocità del nostro pensiero a volte ci porta a saltare a conclusioni dando per scontate cose che scontate non sono.

Questa nuova colorazione della leadership, come competenza regina del panorama manageriale italiano, ma non solo, in qualche modo ci costringe a riflessioni di questo tipo.

Oggi si parla di servant leadership, dell’utilizzo della psicologia positiva e dell’indagine apprezzativa per generare processi di valorizzazione delle potenzialità, processi di ingaggio e di motivazione, per arrivare alla fine a raggiungere un obiettivo che può sembrare semplice, scontato o banale, ma non lo è, che è quello di lavorare con le persone tenendo presente il fattore umano.

C’è infatti umanità nelle competenze trasversali e nei nuovi paradigmi della leadership, modelli questi che non possono assolutamente prescindere da tutto quello che è il ragionamento sul pregiudizio e sulla velocità, o nel dare per scontato cose che spesso amplificano l’elemento del pregiudizio e ci conducono su terreni scoscesi e pericolosi. Tutto il tema dell’inclusione, per esempio è un tema che non è lontano dalle risorse umane.

Oggi un HR director, un HR manager, ma anche una persona che sceglie uno stage nelle risorse umane, deve tenere l’ambito delle proprie aree di interesse vicino al tema dell’inclusione, nel senso più ampio del termine. Altrimenti non sarebbe un buon o HR director o Hr manager».

3) Oggi, immersi in questa società interconnessa e iper-veloce, come la distinzione tra sistema 1 e sistema 2 potrebbe aiutarci per migliorare la competitività e la strategia delle nostre organizzazioni? 

«Credo che alla base ci sia una questione di consapevolezza.

Se i decisori, i manager, i leader, e le persone che operano all’interno delle organizzazioni, hanno un buon livello di consapevolezza, di conoscenza e di lettura di sé e delle proprie emozioni, e di empatia nei confronti dell’altro allora siamo in grado di attivare i sistemi decisionali a seconda delle circostanze.

Sono molto d’accordo sul fatto che non esiste un sistema migliore o uno peggiore: se all’interno della mia azienda scoppia un incendio devo essere rapida per fuggire dalla situazione di pericolo, magari non coinvolgerò gli altri nella mia decisione e non chiederò alle persone cosa ne pensano, ma velocemente e con autorità prenderò una decisione tale da salvare la vita.

Invece, in situazioni diverse, sarà il contenuto della decisione da prendere, insieme alle persone coinvolte e agli obiettivi che voglio realizzare, a guidarmi. Quello che è molto importante è che non mi guidi la prassi.  

Nel momento in cui abbiamo consapevolezza e sappiamo leggere le situazioni all’interno del contesto, potremmo scegliere se la sfumatura dell’auto-centratura e dell’etero-centratura sono la velocità, l’efficienza, nonché l’efficacia, delle nostre decisioni.

Se ci sono consapevolezza, l’intelligenza emotiva ed intelligenza sociale, per dirlo alla Goleman, possiamo anche agire senza paura. La paura è un concetto estremamente importante nei processi decisionali: insieme al coraggio e alla fiducia, infatti, è uno dei tre ambiti che si sovrappongono nei processi decisionali.

Se mi fido del mio gruppo e del mio team, mi affido, e ho dunque meno paura perché so che il mio team ed io guadiamo nella stessa direzione e abbiamo un rapporto di reciproca fiducia.

Fiducia è dunque la parola chiave in questi ragionamenti ed è quello che dobbiamo perseguire anche nell’ambito dei modelli che riguardano le risorse umane o le persone delle organizzazioni. Dobbiamo educare i leader e i manager alla fiducia, e non al controllo o al perseguire e contestare nel migliore dei modi possibili.

Ma bisogna educare i leader alla fiducia, al dare e ricevere feedback. Questi, entrambi paradigmi studiati ma ancora poco applicati. La vera sfida è quella di lavorare con l’indagine apprezzativa e con la psicologia positiva per partire dai successi e da quello che funziona. Non il contrario. Dare feedback è importante. Bisogna però ricordare che il feedback è sull’output e non sulla persona».

L’evento Che cosa abbiamo nella testa? L’euristica e la razionalità

Che cosa abbiamo nella testa?

Il 6 Luglio alle ore 18:00 Iscriviti!

Il programma della giornata:

A tu per tu con gli autori:

Edoardo Boncinelli e Antonello Calvaruso

parteciperanno:

Giuseppe Buonanno, Nuovi Servizi Retail Banca Intesa,

Giuseppe Conte, Direttore Centrale Formazione e sviluppo risorse umane INPS – Credito e Welfare dipendenti pubblici

Matilde Marandola, Presidente Nazionale AIDP – Associazione Italiana Direzione Personale

modera 𝐑𝐨𝐛𝐞𝐫𝐭𝐚 𝐁𝐫𝐮𝐧𝐨, Giornalista

Acquista il libro Che cosa abbiamo nella testa

cosa abbiamo nella testa? Boncinelli e Calvaruso
Che cosa abbiamo nella testa? La leadership tra l’euristica e la razionalità

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